ALTROVE – PILLOLA 4

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    Rimaniamo in Nigeria perchè, partendo dal concetto di Africa e di Afriche, desideriamo accompagnarvi in un percorso dedicato all’importanza di dare una dignità culturale a coloro ai quali questo valore è stato storicamente negato.

    Per aiutarci a superare il nostro comune pregiudizio di un’Africa identificata unicamente come “sofferente”, il caso della Nigeria si rivela essere esemplare: ad oggi il paese più “ricco” del continente, il più popoloso (sesto per popolazione a livello mondiale!) e il maggior produttore di petrolio d’Africa ma al contempo il paese dal quale partono più migranti verso l’Europa, quello considerato meno sicuro e, probabilmente, il più complesso dal punto di vista delle lotte intestine per potere, controllo delle risorse e scontri relativi alla supremazia di alcuni gruppi etnici o religiosi.

    La Nigeria è anche però una straordinaria fucina di eccezionali intellettuali che si sono distinti per la loro prodigiosa abilità nell’arte letteraria; nomi come Wole Soyinka (Premio Nobel per la Letteratura nel 1986), Chinua Achebe, Buchi Emecheta, Ken Saro Wiwa, di cui abbiamo parlato nella nostra PILLOLA N°3, occupano un posto di rilievo nell’olimpo dei narratori che hanno influenzato e che tuttora influenzano la letteratura contemporanea internazionale.

    Tra questi spicca la voce della scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie che con grande piacere abbiamo portato nelle classi in questi anni.

    Chimamanda Ngozi Adichie è nata a Enugu, in Nigeria (nella zona che per breve tempo fu Repubblica del Biafra), nel 1977 ed è cresciuta nella città universitaria di Nsukka.
    Lì ha completato il primo ciclo di studi, poi proseguiti negli Stati Uniti.Pubblica il suo primo romanzo L’ibisco viola nel 2003 che riceve ottime critiche e vince il Commonwealth Writers Prize for Best First Book nel 2005 e viene pubblicato in Italia da Fusi Orari nel 2006.Il suo secondo romanzo Metà di un sole giallo, è ambientato in Nigeria durante la guerra civile in cui lo stato del Biafra proclamandosi indipendente tentò la secessione dal governo centrale di Abuja.
    Il titolo del romanzo si rifà appunto all’immagine presente sulla bandiera della nazione del Biafra. Pubblicato nel Regno Unito e negli Stati Uniti nel 2006, ha vinto l’Orange Broadband Prize per la narrativa nel 2007, in Italia esce con Einaudi nel 2008 e vince il Premio Internazionale Nonino nel 2009.

    Nell’aprile 2009 pubblica negli USA e nel Regno Unito il suo terzo libro The Thing Around Your Neck, una raccolta di racconti brevi uscita in Italia nel 2017.

    Il suo terzo romanzo Americanah viene pubblicato nel 2013: nominato dal The New York Times come uno dei migliori dieci libri da leggere nel 2013, esce in Italia con Einaudi nel 2014.

    Adichie è stata definita la Chinua Achebe del ventunesimo secolo.

    IL PERICOLO DELLA STORIA UNICA

    Sono una cantastorie. E vorrei raccontarvi qualche storia personale riguardo a quello che io chiamo il pericolo della storia unica.

    Quando lasciai la Nigeria, per andare all’università negli Stati Uniti, avevo 19 anni. La mia coinquilina americana fu scioccata da me. Mi chiese dove avevo imparato così bene l’inglese e andò in confusione quando le dissi che in Nigeria l’inglese era una lingua ufficiale. Mi chiese se poteva ascoltare quella che lei chiamava la mia musica tribale e fu quindi molto delusa quando le mostrai la mia cassetta di Mariah Carey.

    Quel che mi colpì fu questo: le facevo già pena ancor prima che mi incontrasse.
    La sua posizione di partenza verso di me, come africana, era una specie di pietà condiscendente, e piena di buone intenzioni. La mia coinquilina aveva una storia unica dell’Africa. Una storia unica di catastrofi. In questa storia unica, non c’era alcuna possibilità che gli africani le somigliassero, in alcun modo. Nessuna possibilità di sentimenti più complessi della pietà. Nessuna possibilità di rapportarsi tra esseri umani di pari livello.

    Dunque, dopo aver passato qualche anno da africana negli USA, ho iniziato a capire la reazione che la mia coinquilina aveva avuto di fronte a me. Se non fossi cresciuta in Nigeria, e se tutto quel che avessi saputo dell’Africa fosse derivato da immagini mediatiche, anch’io avrei pensato che l’Africa fosse un continente di bei paesaggi, begli animali e persone incomprensibili che combattevano guerre senza senso, che morivano di povertà e AIDS, incapaci di far sentire la propria voce, in attesa di essere salvati da uno straniero, bianco e gentile.
    Iniziai a rendermi conto che la mia coinquilina americana doveva aver visto e sentito, durante la sua vita, diverse versioni di questa storia singola.

    E’ impossibile parlare della storia unica senza parlare del potere. C’è una parola, una parola Igbo alla quale penso ogni volta che rifletto sulle strutture di potere nel mondo. La parola è nkali. E’ un sostantivo che si può tradurre, molto liberamente, come essere più grande di un altro. Come i nostri mondi politici ed economici, anche le storie sono definite dal principio nkali. Come sono raccontate, chi le racconta, quando vengono raccontate, quante se ne raccontano, tutto questo dipende dal potere.

    Inizia la storia con le frecce dei nativi americani, e non con l’arrivo dei britannici, e avrai una storia totalmente diversa. Inizia la storia con il fallimento dello stato africano, e non con la creazione colonialista dello stato africano, e avrai una storia totalmente diversa.

    La storia unica crea stereotipi. E il problema degli stereotipi non è che non
    siano veritieri, ma che sono incompleti. Fanno diventare una storia la sola storia possibile.
    E se avessimo una rete TV africana che trasmetta storie africane differenti, in tutto il mondo?
    E se la mia coinquilina avesse saputo di quell’editore nigeriano, Mukta Bakaray, un uomo ammirevole che ha lasciato il suo lavoro in banca per realizzare il suo sogno, quello di aprire una casa editrice? Il sapere comune ci dice che i nigeriani non leggono la letteratura. Lui non era d’accordo. Sentiva che la gente che sapeva leggere avrebbe letto, se gli si fosse resa la letteratura accessibile ad un buon prezzo.

    E se la mia coinquilina avesse saputo dell’avvocatessa che è andata in tribunale di recente per sfidare una legge ridicola che richiedeva alle donne di ottenere il consenso del coniuge per il rinnovo del passaporto?
    E se la mia coinquilina avesse saputo della mia ambiziosissima hair braider che ha appena aperto un suo negozio di extension?
    O del milione circa di altri nigeriani, che si mettono in proprio, e a volte falliscono, ma continuano ad essere ambiziosi?

    Ogni volta che sono a casa mi trovo davanti alle solite fonti d’irritazione per la maggior parte dei nigeriani: le nostre infrastrutture fallimentari, il nostro governo fallimentare. Ma anche davanti all’incredibile capacità di recupero di persone che prosperano nonostante il governo, piuttosto che grazie ad esso.

    Le storie sono importanti. Molte storie sono importanti. Le storie sono state usate per espropriare e per diffamare. Ma le storie possono anche essere usate per ridare potere, e per umanizzare.

    Le storie possono spezzare la dignità di un popolo. Ma le storie possono anche riparare quella dignità spezzata.

    Oxford, luglio 2009

    Testo tratto dal Ted Talk del 2009, pubblicato da Einaudi nel 2020. www.ted.com (TED – Ideas worth spreading).

    Traduzione italiana a cura di Paola Natalucci

    Questi tre romanzi sono assolutamente da leggere almeno una volta nella vita, possibilmente nell’ordine in cui ve li abbiamo proposti.

    Non vi anticipiamo nulla se non che nelle parole di Chimamanda Ngozi Adichie pulsa l’Africa, non un paese, ricordiamolo sempre, ma un continente sfaccettato, caleidoscopico e troppo spesso banalizzato.

    Con lei impariamo a conoscere la Nigeria ma entriamo in relazioni, narrazioni e dinamiche che sono anche le nostre.

    Ci leggiamo negli altri anche se lontani da noi.

    La scrittrice si interroga e ci interroga con grande coraggio. In tutti parla di storia, politica, società patriarcale, questione razziale, religione (fondamentalismo in particolare cristiano, di cui poco si tratta in letteratura!) con prese di posizione femministe ma di un femminismo potente che va dritto al cuore.

    Nel 2021 esce per Einaudi Dovremmo essere tutti femministi in cui Adichie presenta un’eccezionale indagine d’autore su ciò che significa essere donna oggi, un appello attualissimo sulle ragioni per cui tutte e tutti dovremmo essere femministi.

    Io vorrei che tutti cominciassimo a sognare e progettare un mondo diverso. Un mondo più giusto.
    Un mondo di uomini e donne più felici e più fedeli a se stessi.
    Ecco da dove cominciare: dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie.
    Dobbiamo cambiare ANCHE quello che insegniamo ai nostri figli.

    Stiamo vivendo momenti bui in cui conflitti violenti scuotono il mondo.

    Vi lasciamo con uno stralcio del discorso di ringraziamento che Chimamanda Ngozi Adichie ha tenuto in occasione del ritiro del Premio Nonino nel 2009, ricevuto per il romanzo Metà di un sole giallo, libro incentrato sulla tragica guerra civile del Biafra che sconvolgerà le vite di personaggi indimenticabili: le sorelle gemelle Olanna e Kainene e il giovane servitore Ugwu.

    Se la letteratura può mostrarci l’orrore, la devastazione, e soprattutto la futilità della guerra; se la letteratura ci può aiutare a ricordare la nostra comune umanità, a ricordare che la persona dall’altra parte cucina come noi, ride come noi e ama come noi; se la letteratura può farci vedere che la guerra può aver unito la Nigeria geograficamente ma non ha affrontato l’interrogativo fondamentale di che cosa sia la nazione nigeriana; se la letteratura può mostrarci che le guerre creano problemi piuttosto che risolverli e che le soluzioni reali sono politiche e culturali, allora le nostre storie si devono sempre raccontare.


    23 settembre 2024 | Scritto da: bottegadellasolidarieta | Tag:

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