ALTROVE – PILLOLA 2

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    Eccoci arrivati alla nostra PILLOLA n.2

    In questa rubrica desideriamo parlare di letteratura come emancipazione culturale, di letteratura come ponte, di letteratura come incontro.

    Avvicinarsi alla letteratura nigeriana permette di conoscere non solo un grande  paese ma anche di entrare nelle tematiche e nelle suggestioni della letteratura africana di lingua inglese, patrimonio internazionale assolutamente da scoprire.Abbiamo deciso di partire da Niyi Osundare: poeta, drammaturgo, linguista e docente universitario.

    Niyi Osundare, un poeta nigeriano

    Niyi Osundare (1947), nigeriano di Ikere-Ekiti, è riconosciuto come una delle voci più importanti ed originali della poesia anglofona contemporanea. Cresciuto con un nonno guaritore e un padre agricoltore-compositore, ha potuto sviluppare sin dall’infanzia un rapporto diretto con la poesia tipico delle culture orali come quella yoruba, che si rivelerà la principale fonte l’ispirazione per i suoi versi in inglese.

    Osundare è uno degli esponenti più noti dell’Alter-Native Tradition, termine usato per indicare la seconda generazione di poeti nigeriani tra cui Odia Ofeimun, Funso Aiyejina e Tanure Ojaide.

    Pur riconoscendo il loro debito verso pionieri come Wole Soyinka e Christopher Okigbo, a partire dagli anni ’80 gli Alter-Natives ne rifiutano l’oscurità estetizzante di stampo modernista per proporre opere più dirette ed accessibili, caratterizzate da un forte impegno socio-politico.

    Tali caratteristiche contraddistinguono le prime tre raccolte di Osundare:
    Songs of the Marketplace (Canti del mercato, 1983), Village Voices(Voci del villaggio, 1984) e A Nib in the Pond (Un pennino nel lago, 1986).

    Una svolta decisiva è rappresentata dalla raccolta The Eye of the Earth (L’occhio della terra, 1986), dove la rilevanza dei temi è sorretta da una sorprendente ricchezza linguistica e maturità lirica, da un gusto irrispettoso nel giocare con le possibilità espressive offerte dall’inglese; si veda ad esempio il neologismo hueman, omofono di human, ma letteralmente l’uomo del colore o il termine preyers.

    Osundare opera una fusione di politica e poetica che diventerà caratteristica di molti dei suoi lavori seguenti, e il cui linguaggio figurativo attinge soprattutto al mondo della natura, una natura potente e antropomorfizzata, come nell’invocazione al camaleonte qui tradotta.

    Da L’occhio della terra (1986)

    ECHI DELLA FORESTA

    Conta i tuoi colori, oh camaleonte,
    aborigeno del vento e del bosco
    conta i tuoi colori
    nell’arcobaleno della felce
    nella corteccia spessa e cinerea
    dell’alberello.
    Conta i tuoi colori,
    oh principe dal semplice corredo
    vivace damerino che passeggia
    così naturalmente nudo, poiché possiede
    una foresta dai mille costumi.
    Vesti la terra
    con l’accurata cautela
    dei tuoi occhi globali.
    Vesti la terra,
    non con l’inerzia millenaria

    delle zampe di millepiedi,
    non con l’incendio inferocito
    della coda di scorpione
    e neanche con l’avarizia calcolatrice
    della lumaca che si trascina la casa
    ad ogni viaggio.
    Vesti questa mantide religiosa
    nel suo tabernacolo eterno,
    le verdi mani serrate
    davanti a un dio assente
    Vesti la foresta indifferente
    che invece s’inchina dinanzi
    all’austero muezzin
    di un vento forte e insistente.
    Vesti questa prole in preghiera,
    questa scuola di rametti ballerini
    […]
    Osserva, inoltre, questi predatori che pregano
    nel calvario cannibale
    della foresta:
    l’iroko che divora il cespuglio,
    la iena che dilania il coniglio,
    l’elefante che calpesta l’erba
    con le gambe snervate dalla cancrena
    del potere insensato
    Racconta a tutti loro della pace oltre l’artiglio
    Raccontagli del sole
    che succede alla notte.
    […]

    Di tutt’altra natura è la raccolta Songs of the Season (Canti di stagione, 1990), che raccoglie le poesie pubblicate per il quotidiano Nigerian Tribune; come nella fiaba sul Fondo Monetario Internazionale tradotta sotto, si tratta di versi dal linguaggio più semplice, destinati al grande pubblico e riferiti ai grandi eventi della cronaca o politica locale.
    Da Canti di stagione (1990)IL MALTOLTO IN PRESTITO

    C’era una volta,
    Quando gli uomini avevano sette bocche
    E dodici dita spuntavano da ogni mano,
    Un paese ricchissimo in tutto:
    Oro e argento facevano a pugni nella pancia della terra
    I fiumi guizzavano di pesci
    E le pianure si stendevano fertili come vergini ondulate.
    Poi venne una stirpe di baroni, tronfi come
    Larve sulla carcassa rattoppata dell’eccesso;

    Arraffarono l’oro, accaparrarono il rame,
    Pescarono tutti i pesci e obbligarono fiumi leggiadri
    A cambiare il proprio corso.
    Trovarono una terra di grazia e ricchezze
    Ma lasciarono un deserto di teschi e stridore.
    La gente gridava e rispondeva il cannone,
    I profeti protestavano e la fanfara reale
    Annegava le loro visioni con rumori di metallo
    Le folle morivano di fame e i baroni si riempivano
    Il nido di uova d’oro.
    E poi una miniera esaurita vomitò
    Un futuro d’indebitamento cronico…
    Oh, tempi sventurati!
    Alla fine l’uccello covò una meraviglia
    Troppo grande per il suo nido pericolante.
    Il capovillaggio iniziò un ritiro
    Di meditazione impetuosa,
    Convocò i condottieri e affrontò gli anziani carichi di perline:
    Come potremo mai schiacciare questa mosca appollaiata
    Così pericolosamente sui testicoli della nostra terra?
    L’assemblea diede origine
    A un fermento di saggezza:
    Il capovillaggio guidò la folla cenciosa
    Dai baroni del saccheggio;
    Umile davanti allo splendore della loro presenza,
    Rantolò con voce così precaria, così spezzata:
    Siamo venuti a prendere in prestito un po’ della ricchezza
    Che trabocca dalle vostre banche,
    Fateci questo favore e vi ripagheremo
    Con tutti gli interessi stabiliti.
    Dalla cima di un albero scaltro
    La civetta canta una melodia:
    Il mondo è alla rovescia come il pipistrello della notte;
    Come può un popolo prendere in prestito adesso
    Ciò che una volta possedeva?

    Nel poema seguente Midlife (Mezzavita, 1993) Osundare ritorna alla natura dei suoi luoghi d’origine per costruire un’opera di respiro dichiaratamente whitmaniano: l’anelito di libertà è unito a un senso di comunione panteistica con l’universo, come nel brano qui selezionato, dedicato agli scrittori africani imprigionati per le loro idee politiche e le loro lotte, soprattutto a Ken Saro-Wiwa.
    Da Mezzavita (1993)DIARIO DEL SOLE

    Io desidero spazi aperti
    Dopo così tante stagioni nel ventre di un mito,
    Incolto da oscure leggende, perduto nell’intricata
    sintassi di proverbi impronunciabili
    Desidero spazi aperti
    Dopo i deliri inesprimibili della lingua
    Nella grotta della bocca, e labbra
    Dolenti per lo sfregio di serrature senza chiavi
    Desidero spazi aperti
    Lontano da editti folti come giungle medievali
    E da strade dove i giorni inciampano
    In notti di ordini adamantini
    Desidero spazi aperti
    Come una radura nella foresta
    Come una passeggiata sulla spiaggia
    Come l’azzurro librarsi dell’uccello nel cielo ampio
    Come montagne, come fiumi,
    Come echi di colline loquaci
    Desidero spazi aperti
    Via dalle mura che stritolano la stanza con artigli di cemento
    E da porte che rinsaldano i cardini
    Come sentinelle d’altri tempi
    Desidero spazi aperti
    Lontano da sorrisi che pungono come scorpioni traditi
    Dalla trappola nascosta nella traccia dai cacciatori del potere
    Dalla collera rossosangue nel festival del coltello
    Desidero spazi aperti
    Un sole che sorga da un mare d’ombre
    Un occhio che sciolga il cielo
    In visioni senza fine
    Io desidero spazi aperti

    Cura e traduzione dei testi di Pietro Deandrea
    Università di Torino, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere


    26 agosto 2024 | Scritto da: bottegadellasolidarieta | Tag:

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